Di Pietro Andrea Annicelli:
Oggi si celebra in tutta Italia la Giornata del ricordo per rammentare le persecuzioni e l’esodo dei connazionali dai territori italiani occupati dai partigiani di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. Ad Acquaviva delle Fonti, invece, la Giornata è stata praticamente anticipata al 29 gennaio. In quella data, infatti, il Consiglio comunale, insieme all’Amministrazione con sindaco il collega giornalista Davide Carlucci, ha scritto una bella pagina di storia civile approvando all’unanimità l’impegno a intitolare una strada della città a Norma Cossetto.
Studentessa, figlia d’un gerarca fascista, Norma fu tra i primi italiani a essere seviziata, violentata e uccisa nel 1943 ad Antignana, paesino dell’Istria oggi Tinjan perché in terra croata. Chi ha tempo e, soprattutto, stomaco, può trovare su Wikipedia la ricostruzione della sua triste storia. È comune a innumerevoli italiani: militari e civili legati al regime fascista, ma anche persone comuni vittime delle vendette e della pulizia etnica in territori poi assegnati alla Jugoslavia dal trattato di Parigi del 1947.
I condannati dalle milizie di Tito venivano legati l’uno all’altro con le mani bloccate dal fil di ferro e disposti all’imboccatura d’una foiba, cavità carsica profonda fino a circa duecentocinquanta metri. I primi della catena erano uccisi a colpi d’arma da fuoco. Erano i più fortunati. La loro caduta trascinava nell’abisso, vivi, tutti gli altri. Potevano sopravvivere ore e giorni, tra le ferite e le fratture, prima di morire di stenti. Così sono sparite, nelle foibe dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia, migliaia di persone.
È stata approvata «una mozione presentata dal consigliere di Fratelli d’Italia Francesco Colafemmina dopo una mediazione che secondo me rende onore a questa povera ragazza straziata a ventitré anni nel 1943» ha scritto sul suo profilo di Facebook il sindaco Carlucci. «Siamo arrivati al voto unanime dopo esserci scontrati con il consigliere di minoranza, dopo aver rivisto la mozione, dopo esserci confrontati anche sugli aggettivi. Dopo un’accesa discussione nella quale sono volate anche parole grosse, abbiamo trovato la sintesi.
Perché, nel testo finale, si è giunti alla condanna dei titini. Riconoscendo, però, il contesto storico in cui le violenze nazifasciste, pur non giustificando alcun tipo di ritorsione, fanno comunque da sfondo a quell’orribile episodio. Così come non si può valutare quel frangente storico senza considerare la volontà di pulizia etnica perseguita dalle milizie jugoslave in quell’area».
In precedenza, durante l’occupazione italiana del regno di Jugoslavia tra il 1941 e il ’43, analoghi crimini efferati furono compiuti dai militari italiani nei confronti della popolazione civile, come stabilì nel 1947 la Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Luigi Gasparotto, ministro della difesa nel terzo Governo De Gasperi.
«Il risultato finale è stata una condanna della guerra, momento di devastazione dell’umanità» ribadisce il sindaco Carlucci. «Dunque non è impossibile provare a fare “memoria condivisa” su vicende storiche che ci hanno sempre diviso. E non è impossibile trovare, nei luoghi di decisione cittadini, percorsi comuni, senza rinnegare le proprie identità politiche, senza rinunciare alle proprie idee di destra o di sinistra».
Risuonano le parole odierne del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Le sofferenze patite non possono essere negate. Il futuro è affidato alla capacità di evitare che il dolore si trasformi in risentimento e questo in odio, tale da impedire alle nuove generazioni di ricostruire una convivenza fatta di rispetto reciproco e di collaborazione. Ogni comunità custodisce la memoria delle proprie esperienze più strazianti e le proprie ragioni storiche. È dal riconoscimento reciproco che riparte il dialogo e l’amicizia, tra le persone e le culture».
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