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Ricchiuti: la guerra si poteva evitare, sbagliato dare armi agli ucraini

Aggiornamento: 14 mar 2022


Pax Christi ha fatto sentire la sua voce sulla guerra in Ucraina, non poteva essere altrimenti. «Tacciano le armi» è il titolo della dichiarazione firmata dal presidente dell’associazione, Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, che fa eco alle parole del Papa e «chiede il non coinvolgimento del nostro Paese nel conflitto né con armi e né con preparazione di uomini».


Monsignor Ricchiuti, Russia e Ucraina che cosa le evocano di primo acchito?

Tante cose. Uno dei viaggi più belli che ho fatto, in quei due Paesi appunto, nel 2000. Poi gli esponenti e testimoni del mondo ortodosso che abbiamo accolto al Seminario regionale di Molfetta quando ero rettore. Il legame speciale che Bari e la Puglia hanno con l’ortodossia russa per via di san Nicola. Il metropolita Hilarion di Volokolamsk ha tenuto una lectio magistralis alla Libera Università del Mediterraneo, a Bari, poco più di due mesi fa, c’ero anch’io.


Su quello che sta avvenendo ora in Ucraina c’è un’informazione senza sosta. Per il conflitto nel Donbass, con le sue migliaia di morti in otto anni, non è stato così.

Quella del Donbass è stata una guerra dimenticata e ha fatto comodo dimenticarla, diciamolo chiaramente. Ciò che oggi è uscito fuori è il fuoco che covava sotto la cenere. Non è avvenuto in Donbass, ma è collegato: chi si ricorda del massacro di Odessa, il 2 maggio 2014, quando una cinquantina di attivisti filo-russi morirono in un rogo appiccato da neonazisti e nazionalisti ucraini? Noi li abbiamo dimenticati altri no. Non bisogna coprire il fuoco con la cenere, perché non si spegne. Le situazioni andavano affrontate con un percorso di riconciliazione, mettendosi attorno a un tavolo per comprendere le ragioni gli uni degli altri. E bisognava fare un lavoro ai fianchi, diplomatico, con questi due popoli e i rispettivi capi di Stato, per arrivare a un accordo. Si evoca spesso la crisi dei missili a Cuba del 1962. Qualcuno si aspettava allora che l’America non avrebbe fatto nulla di fronte a missili nucleari sulla soglia di casa? Per fortuna ci fu una retromarcia, ci fu un accordo, nell’ambito del quale furono tolte anche armi nucleari che erano nella Murgia, nel territorio della mia diocesi. Oggi stiamo ragionando di una guerra che poteva essere evitata.


Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libia (2011), Siria (2014): sono missioni Nato o a guida Usa, solo negli ultimi 20 anni, che hanno prodotto un incalcolabile numero di vittime civili e perdite materiali. Non dovremmo farci un esame di coscienza prima di dividere il mondo in buoni e cattivi?

Ho scritto nella dichiarazione dei giorni scorsi: «La condanna all’aggressione operata da Putin è totale. La guerra è sempre una tragedia. Ma non possiamo con questo dimenticare, o peggio ancora assolvere, la Nato (di cui l’Italia fa parte) dalle sue gravi responsabilità». Sono rimaste inascoltate le voci che in quegli anni – quelli che lei ha messo in fila – si erano alzate per denunciare quello che veniva compiuto. L’anno scorso per il 70° anniversario della nascita della Nato, ho scritto un articolo per fare gli auguri e dire: basta, ora cambiamo strada, perché la Nato com’era stata concepita non ha più ragione di esistere.


Come giudica il voler contribuire alla risoluzione del conflitto rifornendo l’Ucraina di armi?

L’Italia non poteva mandare le armi all’Ucraina, perché l’articolo 11 della Costituzione è fin troppo chiaro. Lo è anche la legge 185/90 – di cui don Tonino Bello fu uno dei suoi promotori – anche se il Consiglio dei ministri ha voluto sfruttare la possibilità che la legge prevede di una deroga, con l’assenso della Camere, per mandare armi a un Paese in guerra. Come uomo, come credente e come vescovo, non mi stancherò di dire questa è la strada sbagliata. Un consigliere regionale della Puglia, Fabiano Amati, ha definito nei giorni scorsi quelli che sostengono queste posizioni dei “pacefondai”. È un’espressione che lui usa con dileggio ma che accetto di buon grado.


A che cosa serve pregare per la pace? Molti credono sia solo un gesto simbolico, come il minuto di silenzio.

La preghiera prima di essere richiesta è ascolto. È il silenzio che permette di ascoltare Dio. Nel silenzio posso sentire la sua voce che dice: «Tu, non uccidere». «Rimetti la spada nel fodero». E «Beati i miti, perché erediteranno la terra». Prima l’ascolto e poi la richiesta: «Signore, per questo mondo ti chiedo la pace, la riconciliazione, la fraternità». E ricordiamo cosa dice Dio per bocca del profeta Geremia: «Conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò».


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