«LA FORZA DELLA NON VIOLENZA PUO' BATTERE PERFINO LE ARMI» (di Oscar Iarussi)
«Ritornano tutti i temi fondamentali della riflessione politica e giuridica della modernità, a cominciare dal dibattito sulla guerra fra Albert Einstein e Sigmund Freud. Senza dimenticare il saggio sul pacifismo giuridico di Hans Kelsen». Parla il pugliese Eligio Resta, 73 anni, professore emerito di Filosofia del Diritto all’università Roma Tre, tra i più importanti studiosi europei della disciplina che ha insegnato fra l’altro presso la London School of Economics. Resta riflette da sempre su temi tornati di tragica attualità: il nocciolo dell’inimicizia e la possibilità della mediazione, la sovranità e la violenza, la politica e «il diritto fraterno» cui ha dedicato uno straordinario saggio edito da Laterza nel 2004.
Professor Resta, nel dibattito sul conflitto in Ucraina e sul pacifismo si va radicalizzando la frattura fra chi ritiene che si debba perseguire la pace come valore assoluto e chi pensa invece che sia legittimo fornire armi alla resistenza ucraina contro gli invasori russi. Lei come la pensa?
«Direi piuttosto che c’è chi si riferisce al diritto e chi pensa al diritto come ad un orpello rispetto al primato delle armi. La teoria di Kelsen sulla Pace attraverso il Diritto prevede l’impossibilità di realizzare la pace se non smantellando la categoria della sovranità degli Stati. Anche in questa crisi manca il Terzo del mondo, manca il Diritto terzo rispetto alla politica. Il terzo assente, come lo definì Norberto Bobbio, è il vero problema che ci troviamo di fronte».
Ritorna la coppia amico/nemico, cruciale nel pensiero di Carl Schmitt che la pone alla base dell’agire politico. Una forma di regressione, di ritorno ferale al ‘900?
«In quel carteggio decisivo del 1932, Perché la guerra?, di cui personalmente ho curato la edizione spagnola, Einstein scrive a Freud di sentirsi “amico dell’umanità”, una categoria riferibile al Kant di Per la pace perpetua. Chi si schiera è sempre alleato e rivale nello stesso momento. Il tema è che va smantellata la categoria della sovranità... Hobbes parlava degli Stati come di lupi artificiali: gli Stati si portano dietro il nomos, lo spirito della terra come quello della guerra, la sovranità del dominio di uno Stato sul territorio. È il carattere inquietante della conquista delle terre all’opera anche in questo conflitto, il nomos della terra diventa il nomosdella guerra. Una dimensione nascosta della pratica della guerra è fondata sull’antropologia dell’invidia: se le armi le ho io sono buone, altrimenti sono cattive. Ovvero non disarmerò fino a quando non avrà disarmato l’altro. Ecco gli Stati canaglia di cui parliamo».
Come si può esorcizzare o disinnescare tale paradigma luttuoso?
«La pratica e la promessa dell’Europa sono fondamentali: la Costituzione senza sovrano, quindi senza nemico. Al contempo, per fronteggiare l’inquietudine che ci pervade tutti, bisogna riscoprire i pensatori terribili come Hobbes e Schmitt che scavano nelle pieghe nascoste della antropologia bellica. A loro io oppongo idealmente Gandhi, che si sdraia sapendo che i soldati britannici non gli passeranno sopra. La debolezza come grande forza, laddove la forza è una debolezza».
Sì, ma quando invadono il tuo Paese, stuprano le donne, uccidono i bambini, il richiamo a Gandhi può suonare illusorio o insufficiente. Non crede?
«Ho visto nei Tg immagini di civili nelle città ucraine che andavano incontro pacificamente ai carri armati e donne pronte a parlare con i soldati russi. La loro è la scommessa che le armi possano essere vinte. Aggiungo che la guerra è sempre ingiustificata, ma la guerra di resistenza è meno ingiustificata rispetto a quella di offesa. Viene in mente Nietzsche: le cose in questo mondo sono giuste o ingiuste, ma egualmente giustificate. C’è un elemento di teologia nella giustificazione che rende tutto artificiale».
Noi cosa possiamo fare di fronte all’orrore?
«Prima di tutto andare in soccorso degli oppressi, accogliere i profughi».
Come tutelare le vittime, mandando altre armi o no?
«A volte è necessario, ma non bisogna mai dimenticare il messaggio di Gandhi che sfida la prepotenza con le armi della non violenza. Quanto a mandare armi in Ucraina bisogna stare molto attenti».
La sua è un’utopia giuridica.
«Sì, la stessa che ogni tanto vede riaffiorare Einstein contro Freud: quest’ultimo pensava alla guerra come a una pulsione di morte legata all’eros, un punto di vista più nichilistico rispetto a Einstein. Se la guerra è una pulsione, infatti, resta ben poco da contrapporle: amore e morte, le lacrime di eros, come scrive Bataille».
Beh, Putin è la rappresentazione di un virilismo aggressivo, di una dimensione «eroica» del maschio.
«Sicuramente. Tuttavia, io continuo a sostenere che c’è anche la ragione dell’utopia giuridica, per esempio l’efficacia dei tribunali internazionali, il Terzo assente di cui parlavo poc’anzi».
Lei si riferisce alle Nazioni unite, ma il loro ruolo appare scialbo e comunque non all’altezza della crisi.
«Il Terzo non può essere questa ONU in cui l’elemento del diritto è schiavo della sovranità degli Stati. Ricordiamoci di Foucault quando scrive che il diritto è sempre governato dal re, nel senso che è frutto di un dominio. L’ONU si basa sul diritto di veto dei Paesi membri più potenti ed ecco che ritorna la potenza, non il diritto. Oggi chi è il Terzo del mondo? È un terzo assente, appunto. Solo lavorando a concepirlo a dispetto della antropologia dell’invidia riusciremo a dare forza alle ragioni della pace».
«SI' A DISARMO E DIALOGO, NON ESISTE ALTRA STRADA» (di Michele Partipilo)
Un no, «senza se e senza ma», alla guerra e alle armi, un gesto di pace concreto dei vescovi italiani e un rinnovato appello ai politici a ripudiare la guerra come strumento per risolvere le controversie. È il pensiero di mons. Giovanni Ricchiuti, 73 anni, arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti ma anche presidente di Pax Cristi Italia, il movimento cattolico internazionale nato in Francia nel 1945 e di cui è stato grande animatore anche mons. Tonino Bello, il vescovo prossimo a diventare santo.
Eccellenza, gli appelli del Papa alla pace e la scelta di fornire armi all’Ucraina stanno provocando dibattiti e polemiche all’interno dello stesso mondo cattolico. Che accade?
«La mia è una riflessione da credente prima ancora che da vescovo ed è una convinta adesione al messaggio partito da lontano nella Chiesa. Ricordo a tutti come l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco avesse già dichiarata non più ipotizzabile una guerra che possa definirsi giusta. “La guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli”, si legge al numero 257. La guerra si fa con le armi ed è chiaro che sono queste il problema, urge una graduale riconversione delle fabbriche che le producono per metter fine ai giganteschi profitti delle lobby che se ne occupano. Come può una persona umana, ancor di più se cristiana, accettare queste logiche? La strada per la pace è un’altra: è quella del disarmo e, possibilmente, quella di una strategia del dialogo».
Eccellenza, nessuno non condividerebbe questa impostazione, ma di fronte al popolo ucraino che si sta difendendo da un’invasione, si tratta di scegliere se aiutarli a difendersi con le armi oppure no.
«Non sono un esperto politico, ma credo di vedere una sorta di pensiero unico. Anche all’interno della Chiesa ci sono posizioni favorevoli all’invio di armi. Lo capisco, è un momento drammatico, ma mi sforzo di restare razionale. Chiedo: ma da quando è partita la crisi Ucraina nel 2014 a oggi, sono stati messi in atto tutti gli strumenti per convincere i leader dei due paesi a parlarsi? L’extrema ratio di fornire le armi è davvero una strada senza ritorno. Putin è l’aggressore, non ci sono dubbi, il popolo ucraino è l’aggredito: ma l’invio di armi potrà portare a una soluzione del conflitto? Anche una guerra “giusta per legittima difesa” fa soffrire il popolo ucraino. Credo che alla fine dovranno per forza sedersi attorno a un tavolo e confrontarsi. Parlo qui al sicuro, ma penso a tutte le azioni di interposizione non violenta che è possibile fare e cui stanno pensando i vescovi italiani, magari andando a invocare la pace là dove si combatte. Pax Christi insieme con altri movimenti cattolici si appresta a inviare 10 pulmini carichi di aiuti e che torneranno con alcuni ragazzi in gravissime condizioni da curare in Italia. Ma non si può continuare così».
E allora che fare? Restiamo a guardare le immagini di città devastate e milioni di persone in fuga dalle loro case?
«Torno alle parole del Papa: la guerra è scandalosa. Se non riflettiamo sulle ragioni della pace per ogni conflitto si arriverà a queste situazioni. Io non recedo da queste “posizioni” di pace. Ricordo un film sulla guerra nel Pacifico, un soldato americano uccide dei nemici, è giustificato, l’ha fatto in un’azione di guerra, ma si tormenta perché comunque ha ucciso. Uccidere non è mai giustificabile. Padre Balducci ammoniva: se vuoi la pace prepara la pace».
Eccellenza, fra le voci dissenzienti all’interno della Chiesa vi sono anche diversi teologi. Sulla Stampa Vito Mancuso ha osservato che ormai la guerra, anche in quanto argomento unico di discussione, è entrata nelle nostre teste, quindi siamo tutti già in guerra…
«A certi teologi replico: perché il Signore ha detto soltanto beati i miti? Perché ha detto beati i costruttori di pace? Quando Dio chiede a Caino: dov’è tuo fratello? Cambia la storia. Se davvero capiamo che siamo custodi del creato e dei fratelli perché dobbiamo alzare la mano contro gli altri? Colgo una violenza anche nel linguaggio da parte di chi sostiene la necessità di fornire armi agli ucraini: per me è un onore essere chiamato “pacefondaio”, perché non sono d’accordo sulla guerra – su ogni guerra – e non lo sarò mai»
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